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“Foto-grafia”, Studio Marconi, Milano, 1976

“Foto-grafia”, Studio Marconi, Milano, 1976: con questa mostra personale s’inaugura una nuova fase di ricerca, quella che l’artista definisce ‘scrittura di luce’; le ultime tracce di denotazione scompaiono per giungere a quello che si potrebbe definire il ‘grado zero’ della fotografia:

Foto-grafia: scomponendo questa parola nelle due parti che la compongono si evidenziano i due termini da cui ha avuto origine: photos (luce) e graphos (scrittura), scrittura di luce, scrivere con la luce, disegnare con la luce. Nei tempi antichissimi, quando disegno e scrittura ancora coincidevano, il segno era l’elemento primo. Segnare quindi con la luce percorsi nello spazio della pagina. Cercare sulla superficie punti, luoghi, e colpirli con la luce. Praticamente, letteralmente, armato cioè di lampadina. Mi domandavo come fare a realizzare un segno che fosse tutto intero il gesto della mano libera senza il freno dell’attrito della pennamatitapennello sulla carta tela superficie qualsiasi. Una luce che viene fatta scorrere davanti ad un materiale sensibile lascia una traccia del suo passaggio che può essere la soluzione al problema, mi son detto. Questa traccia del percorso allora, come in un elettroencefalogramma, evidenzia i moti minimi, fotografa il lavoro che compie la mano mentre mima il gesto del disegnare, dello scrivere, del dipingere, con un segno che sintetizza tutte e tre queste attività e che risulta irreversibile e indelebile. Bisogna lavorare al buio, naturalmente, non si vede quello che si fa mentre lo si sta facendo, non si può controllare quello che si è fatto se non più tardi, quando si sviluppa il materiale. Ma diciamo le cose con ordine: prendere della tela fotosensibile, in una camera oscura, prendere una lampada, a spot per intenderci, e agitarla davanti alla tela eseguendo un gesto che nella tua mente corrisponde a un segno; sviluppare e fissare quanto basta. Solo a questo punto si può accendere la luce e controllare il risultato: la luce ha annerito la tela nei punti dove si è posata. Con un segno sottile se il tuo gesto è stato rapido; con un segno via via più allargato a secondo dell’incremento del tempo di esecuzione del gesto e quindi del maggior tempo di esposizione della tela alla luce dello spot.

Mi son dato un programma minimo, elementare: cominciare laddove ha effettivamente inizio la forma figurativa: dal punto e dal punto che si mette in movimento. Quando il punto agisce spostandosi nello spazio ne deriva un segno quale prima dimensione. Posso così tracciare contemporaneamente lo spazio e il segno senza altra giustificazione che il presentarsi autosignificante della traccia di un gesto.
[Bruno Di Bello, 1976]